Così le aziende farmaceutiche corrompono i ricercatori
Pubblicato il 15/02/2013
Ricercatori a libro paga di aziende farmaceutiche. Scienziati che studiano un farmaco, lo testano per anni e poi ne riportano i risultati su riviste di prestigio. Sistemi sanitari che approvano e rimborsano solo le medicine testate, titolate e controfirmate, seguendo i cosiddetti “criteri scientifici”.
Medici e pazienti -rassicurati da questa mole di studi- che si fidano, i primi prescrivendolo, i secondi credendo di curarsi. E invece salta fuori il conflitto di interessi. L’azienda farmaceutica paga per farsi approvare i farmaci.
Un esempio? La Wyeth ha elargito somme di denaro al ricercatore Robert Lindsay autore di uno dei primi trial clinici di terapia ormonale sostitutiva (Tos), a base di estrogeni, per curare l’osteoporosi. Lindsay è anche direttore della rivista Osteoporosis International e presidente della National Osteoporosis Foundation.
L’inchiesta che ha portato a galla la corruzione è stata condotta da Charles Seife, matematico e giornalista di Washington. Riportata dalla rivista Scientific American , la troviamo sul numero di febbraio de Le Scienze che all’argomento dedica la copertina “Fidarsi di Big Pharma?” , l’editoriale di Marco Cattaneo e un servizio di 9 pagine.
“Quello di Lindsay è un caso tipico – spiega Seife – Negli ultimi anni le case farmaceutiche hanno trovato molti modi per mettere ingenti somme di denaro – in alcuni casi sufficienti a garantire a un figlio la frequenza all’università – nelle tasche di medici indipendenti che svolgono ricerche su farmaci in fase di produzione o commercio da parte di queste aziende. Il problema non riguarda solo imprese e ricercatori ma il sistema: istituzioni finanziatrici, laboratori, riviste specialistiche, ordini professionali e così via. Nessuno offre un metodo di controllo in grado di evitare conflitti di interesse”.
Seife riferisce che “in tutti gli Usa ci sono scienziati che conducono ricerche finanziate dal governo e contemporaneamente prendono denaro dalle case farmaceutiche. Per avere un’idea della quantità di denaro ho consultato la banca dati ProPublica che contiene i pagamenti delle case farmaceutiche per identificare i ricercatori pagati. Nel solo stato di New York abbiamo individuato esborsi per 1,8 milioni di dollari da parte di poche aziende a beneficiari di finanziamenti pubblici. Erano pagamenti per tenere conferenze, consulenze e altri servizi”.
Uno studio pubblicato nel 2010 sul British medical journal rivelò che l’87% dei ricercatori che diede parere favorevole al farmaco per il diabete Avandia prodotto dalla GlaxoSmithKline, sospettato di provocare infarti, avevano ricevuto denaro dai produttori del farmaco. Nel caso dell’Avandia la corruzione emerse anche fra i membri della commissione della Food and Drug Administration chiamata a valutare.
Seife invoca un sistema basato sull’onore, dominato dalla trasparenza, “lo richiedono le riviste specialistiche, le organizzazioni professionali e le istituzioni che finanziano le ricerche: è fondamentale che uno scienziato dichiari apertamente da chi prende soldi, dopo di che, la comunità scientifica deciderà fino a che punto fidarsi”.
Di più, direi che la trasparenza debba essere totale e interessare tutti gli anelli della catena, dal più importante al più debole.
Ciascuno di noi ha il diritto di sapere che il sistema che ha approvato le sue terapie ha preso denaro, esattamente come un lettore ha diritto di sapere chi è l’editore di un giornale e un risparmiatore ha diritto di sapere a chi consegna il suo denaro.
Il Parlamento degli Stati Uniti ha approvato quest’anno il Physician Paymentes Sunshine Act, la norma entrata in vigore a gennaio 2013 impone alle case farmaceutiche e ai produttori di dispositivi medicali di dichiarare la maggior parte dei fondi con cui vengono finanziati medici e ricercatori.
E da noi?
Di Gioia Locati
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