Il linfoma non è più un problema, la “giustizia” sì
Pubblicato il 12/09/2012
Barbara Bartorelli, quarantenne bolognese, scopre undici anni fa di avere un linfoma di Hodgkin. Si affida alle cure tradizionali, affronta quattro cicli di chemioterapia ma, dopo pochi mesi, la malattia ritorna più aggressiva.
I medici le prospettano la soluzione del trapianto senza però garantirle la guarigione. La donna non vuole rischiare, non se la sente di “farsi ridurre a zero le difese immunitarie e di assumere grandi quantità di antibiotici”, decide di provare con il metodo Di Bella. Dopo pochi mesi migliora. E, piano piano, quei i benefici diventano stabili.
Per pagarsi la terapia, sui duemila euro al mese, chiede soldi ad amici e a parenti e c’è è anche chi, per racimolare la cifra, organizza per lei tornei di calcio. Passano altri mesi e, d’accordo con gli avvocati, Lorenzo Tomassini e Luca Labanti, Barbara fa causa alla Asl per ottenere il rimborso.
Due le pronunce a lei favorevoli, un decreto d’urgenza nel 2004 e una sentenza di merito nel 2006. I giudici constatano – grazie anche alle perizie di oncologici incaricati dai magistrati – che Barbara è guarita e che non ha un reddito tale da permetterle di pagarsi le cure. La Asl però impugna la decisione. E sei anni dopo, ossia a fine agosto di quest’anno, arriva il verdetto della corte d’appello.
Barbara non avrebbe potuto fare quella cura, perché, recita la sentenza ” una sperimentazione ministeriale stabilì che era inefficace”. Non solo. Poche righe più sotto si legge che ” la malattia di Barbara non era fra quelle oggetto di sperimentazione nel 1998″ ( infatti, non venne testato il suo linfoma, ma un altro, il non Hodgkin).
Non è finita. I tre magistrati, autori della sentenza d’appello, dichiarano che i loro colleghi non avrebbero dovuto affidarsi a esperti, a medici incaricati di esaminare le cartelle cliniche della paziente, visto che nel 1998 la sperimentazione ministeriale stabilì che la terapia Di Bella non era valida.
Testuale: ”All’autorità giudiziaria non compete di accertare, mediante l’ammissione di una consulenza tecnica di uffici, l’efficacia terapeutica del trattamento del prof Di Bella, in relazione alla patologia tumorale in coerenza con il principio dell’ordinamento secondo cui la legge ha attribuito ad appositi organi tecnici il potere di effettuare la sperimentazione…“.
L’avvocato Lorenzo Tomassini è stupefatto: “E’ assurdo, come si può stabilire per legge che è vietato indagare? Oserei dire: vietato guarire. Alla base del diritto civile c’è la possibilità di emettere provvedimenti d’urgenza per tutelare i casi limite. Lo stesso diritto civile prevede che si guardi all’obbiettività della situazione, la signora Bartorelli è guarita. Ha ottenuto un indubbio beneficio da quella terapia, invece non sappiamo quali risultati avrebbe avuto con un trapianto… com’è possibile che un giudice non si curi del fatto che un malato di tumore è guarito? Il diritto alla salute è sacro e inviolabile”.
E il diritto alla libertà di cura? Barbara Bartorelli annuncia un prossimo ricorso alla Corte europea dei diritti dell’uomo: ”Perchè dobbiamo accettare che lo Stato sia tutore della nostra salute? Perchè la commissione del farmaco deve decidere come si deve curare un malato ? Se le terapie non funzionano, il nostro Stato - lo stesso che si interroga sull’opportunità del testamento biologico – ci lascia morire. E che colpa avrei io? Di non aver accettato di andare all’altro mondo a 32 anni? Chiedo la libertà di rivolgermi al medico che scelgo e che sia lui a decidere cosa è meglio per me, non un prontuario stabilito da una azienda farmaceutica!”
Di Gioia Locati
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